Alla scoperta di Pantelleria tra vigneti e cantine: la sua terra,i sapori e i saperi del suo abitante.
Pantelleria definita non a torto “Perla nera del Mediterraneo” è un’isola vulcanica, dall’aspetto selvaggio, ma dal cuore di lava dove grazie ad una natura oltremodo pacificante e rigogliosa, lo sguardo si perde nella cromia dei suoi colori che spaziano dall’azzurro intenso del mare, al nero della pietra lavica, al verde rigoglioso della sua vegetazione.
L’isola è stata interamente generata da eruzioni vulcaniche ed è possibile assistere a fenomeni di vulcanesimo secondario per la presenza di vasche di acqua sorgente con temperature che oscillano dai 30 ai 40 gradi, con getti di vapore che ad intermittenza fuoriescono dalle fessure delle rocce,da un Lago alcalino “ U Vagnu” o Lo Specchio di Venere, come ormai tutti lo definiscono, che occupa la caldera di un vulcano spento, ma è alimentato da sorgenti sotterranee e dall’acqua piovana.
La Montagna Grande alta 836 mt. ricopre e sembra proteggere tanti altri vulcani spenti che prendono il nome di Kuddie. Una passeggiata con ritmi lenti conduce il visitatore nel cuore pulsante dell’isola, il suo entroterra dove chilometri e chilometri di muretti a secco delimitano piccoli appezzamenti di terra: il verde delle viti tappezza il suolo della terra a tratti dura perchè di rocce basaltiche, in altre soffice perchè di rocce ignimbritiche eruttate dal vulcano, fino all’ultima avvenuta nel 1891.
Non c’è nell’isola un luogo identico all’altro e lo sguardo è sempre catturato da una grande bellezza che è di luce intensa nelle albe del versante nord-est dell’isola, che è di un arcobaleno di colori nelle ore del tramonto, quando il sole si tuffa nell’acqua cristallina del suo mare, nel versante suv-ovest. In quest’isola domina la pietra, tutto è stato costruito con essa grazie alla perizia del suo abitante che ha osservato attentamente la Natura e l’ha amata, perché solo la Terra era la sua unica fonte di sostegno. Ha impiantato la vite ad alberello di uva Zibibbo, divenuta patrimonio dell’Unesco, proprio per le pratiche agricole che l’uomo di ogni tempo ha imparato per coltivarla e renderla fertile. Ha utilizzato arnesi capaci di dissodare la terra in base alla consistenza dei suoli,ha impiantato la vite nelle conche per consentire all’acqua piovana di penetrare nel sottosuolo, di ristagnare nei mesi delle piogge e offrire lentamente alla pianta il suo sostegno.
In un luogo privo di pozzi d’acqua è riuscito, grazie alle cisterne che raccolgono l’acqua piovana, di possedere un bene che gli ha consentito di vivere in una terra che mai lo ha deluso, perché la sua mano si è posata adagio su tutto, senza mai ledere la fragilità di ogni ambiente creato. Nelle proprietà il “Sarduni”,costruito con la pietra rotta e il tetto a volta consentiva di riporre tutti gli arnesi dopo una lunga giornata di lavoro e con il suo fedele amico, l'asino, faceva ritorno nella sua casa dove trovava la moglie e i figli ad attenderlo.
Nel Dammuso di abitazione costruito a pianta rettangolare con camera, alcova e camerino, la vita si svolgeva con grande fermento, perchè venivano lavorati e conservati tutti i prodotti della terra: primo fra tutti dopo la vendemmia, il vino rappresentava l’alimento che non doveva mai mancare in famiglia e si costruiva il palamento e “U Palaturi” per la vinificazione dell’uva Zibibbo. Da essa ne derivò il celebre Passito, tratto dalle uve messe ad essiccare naturalmente in appositi stenditoi. “L’oro giallo di Pantelleria”, sorseggiato al tramonto sulle Cupole dei Dammusi, rappresenta oggi una delle esperienze più pregnanti, emoziona e fa riflettere sul grande passato umano dell’isola, fatto di uomini e donne che nella terra hanno sempre visto la propria grande Madre. Il Passito spesso denominato “L’oro giallo di Pantelleria” è un vino da dessert dolce e aromatico dal colore ambrato, un’eccellenza ormai conosciuta in molti paesi del mondo.
In Settembre è uno spettacolo impari attraversare le terre dove i contadini vendemmiamo e stringono nelle loro mani i grappoli maturi di uva Zibibbo; portano alla bocca alcuni succulenti acini e sono grati alla loro terra per aver ancora saputo donare quei frutti dall’inconfondibile sapore che racchiudono i saperi di generazioni
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