Scegliere di vivere in un’ isola non è facile, ci rendiamo conto, ma se è stata questa la terra che ci ha dato i natali, è in essa che affondano le nostre radici ed è in essa che si desidera tornare dopo un lungo viaggio o dopo che per motivi di natura economica si è dovuti partire. I luoghi e le persone care lasciate, si colorano di una luce vera, fatta di profondi sentimenti di nostalgia ,le nostre orme lasciate sul suolo adesso è necessario siano calcate dai figli che possano a loro volta capire quanto grande sia il bene della propria madre terra.
Quanti tramonti incantati ci offre la nostra isola e quante volte ci siamo chiesti che cosa c’ è al di là di quell’ orizzonte, quali popoli, quali città, quali civiltà. Viene alla mente il Leopardi che al di là della siepe immaginava realtà diverse dove il suo animo assetato di conoscenza e d’ amore avrebbe forse trovato la felicità. La vita dell’uomo è come un lungo tracciato sul filo del tempo, l’incessante viaggio di un pellegrino alla continua ricerca di una meta, di un luogo in cui sostare per trovare riposo e pace. Viaggio fisico da un luogo ad un altro, ma soprattutto viaggio alla conoscenza di se stesso per operare scelte di vita consapevoli.
La conoscenza di sé implica esperienze di vita tali da consentire a ciascuno la possibilità di confrontarsi con altri e in altri luoghi dove spesso ci si dirige per motivi di natura politica, economica o solamente per il desiderio di esplorare l’ altrove. E nella natura stessa dell’uomo non fermarsi e andare oltre: per noi che viviamo in un’isola è oltremodo importante spezzare l'isolamento, andando oltre quell’orizzonte che ci limita e spesso ci costringe forzatamente a fissare ben salde le nostre radici in una terra che ci accoglie come il grembo di una madre.
Oggi è più facile l’andare per mare, ma ripensando al nostro passato, non possiamo non ricordare quanti con estremo coraggio si sono affidati ai pericoli e alle insidie tese da questo nostro mare pur cosi bello e a volte tanto burrascoso. Capitani coraggiosi con i loro velieri sfidavano le insidie della natura e riuscivano ad assicurare alla popolazione pantesca l’ approvvigionamento di generi di prima necessità, nonché a far si che i prodotti della nostra terra venissero venduti e conosciuti nel resto d’ Italia. Chissà quali sentimenti animavano il loro animo, chissà quante volte la loro vita è stata appesa ad un filo, ma sempre con tanta maestria hanno saputo spiegare le loro vele per partire e poi tornare.
Il viaggio è dunque lo stimolo alla ricerca del nuovo, l’istintiva attrazione per ciò che ci è estraneo, la misura della distanza che ci separa dalle realtà sconosciute, la sfida al confronto, l’ abilità di relazionarsi con il diverso da noi, la capacità di adattamento a situazioni imprevedibili. Sono da ammirare quanti hanno la capacità di affrontare l’imprevisto e valicano questo confine da noi imposto dalla natura, ma mai dimenticare la propria terra, in essa si può sempre trovare rifugio e riparo, è in essa che carichi di esperienza, in un abbraccio corale con tutta la nostra comunità dobbiamo trovare le ragioni della nostra identità di persone e forte appartenenza ad un luogo che ci riconosce. Torna spesso alla memoria la nota metafora verghiana dell’ostrica attaccata allo scoglio.
Se il mare è una metaforica rappresentazione della vita e lo spingersi al largo testimonia le scelte coraggiose e avventurose, il sostare nel porto indica invece - se pur nell’attesa di essere sempre assaliti dalla tempesta - la condizione esistenziale di chi si è liberato da ogni illusione : consapevole del fatto che il mare non basta a preservare quella identità a cui gli isolani sono fortemente legati, scegliendo di opporre all’apparente mutare della storia la stabilità esemplare del proprio scoglio, del proprio orizzonte percepito come unico rifugio e una difesa possibile.
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