Un’ isola definita a ragione “ Perla nera del Mediterraneo” perché scura con le sue infinite pietre vulcaniche ,ma come perla bianca per distinguerla dalle tante isole che si affacciano in questo mare per le sue bellezze naturalistiche e dove i popoli di ogni tempo hanno trovato nella terra scavata al vulcano le ragioni del proprio vivere. La terra di Pantelleria si è rivelata subito madre e ha sempre saputo offrire ai figli che l’ hanno abitata amore e sostegno pur nel sacrificio di una vita votata ad un agricoltura eroica, perché tale è stato da sempre il suo abitante, un eroe capace di lavoro infaticabile, di sacrifici immensi per trarre terra fertile dal vulcano e recintare sia pur un piccolo fazzoletto di terra con muretti di pietra lavica, capaci di contenere la terra e rendere fruttuose le varie coltivazioni che sempre sono state affidate al volere della natura. L’ abitante dell’isola è per questo agricoltore e non marinaio, la sua tradizione culinaria è stata da sempre affidata a tutti i prodotti della terra che nelle varie stagioni consentivano alla famiglia una giusta alimentazione e sempre attento agli eventi della natura ha usato la sua ingegnosità per costruire ripari idonei a che ogni suo sforzo non venisse vanificato. E la pietra, l ‘unica materia prima di cui i popoli delle origini hanno capito l ‘importanza, è valsa a creare un paesaggio strutturato che ancora oggi è dato a ciascuno di ammirare nella realizzazione delle costruzioni tipiche, i famosi dammusi e gli esemplari dei giardini panteschi che hanno sempre avuto l ‘onere di custodire al loro interno un albero di agrumi. La proprietà spezzettata vedeva ogni mattina l agricoltore pantesco cavalcare il suo asino per raggiungere luoghi impervi e li’ per l intera giornata lavorava nella terra, nella sua terra che amava più di sé stesso e costruiva dammusini per ripararsi dalla pioggia e poter consumare un pasto frugale al riparo insieme al suo asino, per il quale creava l alloggiamento idoneo e attiguo al cubo terrano. La sera rientrava nella sua abitazione che di solito era in una delle tante contrade di cui si compone il territorio isolano e nel suo dammuso trovava conforto nel pasto che la fedele moglie preparava per lui e per tutta la famiglia e si rifocillava tra le spesse pareti della sua casa il caldo d’ inverno e il fresco d’ estate. Se l uomo lavorava la sua terra tutto l’ anno, la donna andava in campagna solo d’ estate per la raccolta dei capperi e la vendemmia , dal momento che le due coltivazioni principali da cui trarre un reddito erano e sono tuttora la coltivazione dell ‘uva Zibibbo e del Cappero : durante tutto l’ anno però la sua abitazione si trasformava in una vera fattoria e lei, la donna pantesca, era li’ sempre pronta a lavorare i prodotti della terra che a sera il suo uomo portava dalla campagna, ad accudire agli animali da cortile e a realizzare tutte le conserve possibili, idonee a sostenere la famiglia. Tutte le donne dell’isola, fino agli anni 70, quando poi Pantelleria si apri al turismo, che abitavano le diverse contrade avevano questo ruolo: divenire mogli e madri attente ai bisogni della famiglia. La donna pantesca andava sposa molto presto: spesso si sposava con cugini o persone che erano bene accetti dai suoi genitori e prima del matrimonio doveva apprendere la arti femminili del ricamo per prepararsi il corredo. Difficilmente acquisiva un titolo di studio, di solito aveva la terza o al massimo la quinta elementare.
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