Di Marina Cozzo
Il pranzo tradizionale in occasione della festività di Pasqua si ripete ora come all’ora.
Con nostalgia mi viene da ricordare mia nonna Marietta, in particolare, che si affaccendava dal giorno prima per accogliere tutti i suoi figli e nipoti davanti alla tradizione culinaria pantesca portata ad Aprilia.
Eravamo 21 in tutto che giungevamo nella sua accogliente casa inebriata di profumi di cucina.
Il suo menù prevedeva:
- agnolotti, ripieni di carne e cervello di capretto, conditi con dolcissima salsa di pomodoro fatta in casa l’estate prima. Ricordo gli schizzi di quel sugo, quando cadeva un agnolotto dalla forchetta: camicie, cravatte e tovaglia si rallegravano di gemme scarlatte.
- capretto al forno, cotto al forno a legna. Il fuoco veniva avviato con i “sarmenti” (i tralci secchi di vite) e ceppi di ulivo, dei quali umori la carne si impregnava acquisendo aromi persistenti. Ammantata da alloro e rosmarino selavatici, la carne assumeva una fragranza che ancora sento tra le papille.
- cassatine, i dolci di pasta ripiena di ricotta condita con cannella, scorza di limone grattugiata e qualche chicca di cioccolato. Cotti al forno, si capisce quando sono pronti quando si vede l’impasto di ricotta fuoriuscire e sfrigolare dalle “ciacche” (fessure) della sfoglia superiore.
- ma il dolce più tipico anche perché creativo e giocoso è “u cannateddro”! Con la rimanenza di pasta delle squarate, si realizzano vere e proprie opere d’arte, che vedono nel cuore un uovo sodo dipinto. Alla decorazione eravamo dediti principalmente noi bambini, intrattenendoci per ore alla ricerca dei colori, dei granelli di zucchero sfidandoci in una vera gara per chi realizzasse il cannateddro più gioioso e saporito.
Coperto | 28 novembre 2023 16.2 °C |